Al centro della nostra riflessione c'è l'esigenza, molto forte, di riguadagnare alla pittura un'economia di senso e di movimento che restituisca a questo operare una qualità di necessità che è anche una qualità di verità. L'accento è per una volta sul filtraggio che l'attuale conduce sull'esperienza storica e attraverso cui si compie, ogni volta, la differente riattualizzazione di un valore. Si tratta dunque di definire una nuova pertinenza dell'operazione pittorica, all'opposto di qualunque gioco di gesti facoltativi o di presunte ricchezze di ideologie, attivando invece una sorta di movenza minimale seppure al di sopra di una complessità di storia. L'eco di questa complessità esorta d'altronde a progredire attraverso la problematicità di un modo, come è oggi la pittura, che non ammette di essere risolto, o annullato, in nessuna presunta compiutezza o 'felicità' espressive. C'è addirittura uno spessore di contraddittorietà che non può essere eliminato tra l'essere vitali e il produrre linguaggio, un'alterità questa che non ci rappresenta ma che però adoperiamo. Quello che si sta compiendo è un percorso di introversione verso la pittura che va nutrito di nuova coscienza, identificando cioè quelle figure che non sono espressione di nessuna fasulla immediatezza, ma definiscono invece i caratteri di una sospensione problematica che noi chiamiamo ad emblema. L'astrazione, a questo punto, diviene una scelta quasi coatta nella misura in cui qui più che altrove ci si offrono i modi generativi e i referenti più forti e penetranti per esprimere questa alterità che ci è presente. È dunque quella dell'astrazione una scelta che non rappresenta il surrogato di un esterno ideologico, ma risponde a tensioni di linguaggio che fuggono il rischio di un'affermazione univoca. Tensioni all'incrocio con una sottile capacità di alludere, di somigliare, là dove si compie l'impurità della nostra astrazione.
1983
Antonio Capaccio / Mariano Rossano (redazione di Antonio Capaccio)